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BLOG - Alle origini della voce baritonale: viaggio nella storia di un’identità vocale

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di Graziano D'Urso

 

 

Nel variegato universo delle voci maschili, quella del baritono ha seguito un percorso lungo, accidentato e affascinante, prima di conquistare la sua piena autonomia artistica. A differenza del tenore, subito esaltato per le sue vette acustiche, o del basso, associato a profondità e autorevolezza, il baritono ha dovuto attendere secoli prima di farsi riconoscere come entità vocale distinta. Ed è proprio il cammino tortuoso di questa voce intermedia, intrisa di caratteristiche altrui ma destinata a diventare protagonista, che si snoda tra i capitoli di un’analisi storica tanto rigorosa quanto appassionante.

Le sue radici si celano nel panorama musicale del Seicento e del Settecento, quando ancora non esisteva una netta categorizzazione delle voci maschili. In Italia, il dominio assoluto dei castrati, unito al divieto ecclesiastico di impiego delle donne in ambito sacro e teatrale, plasmò una vocalità tutta orientata verso l’acuto, relegando le voci più gravi a ruoli secondari o caricaturali. Diverso era il clima in Francia, dove l’haute-contre e la haute-taille – voci acute e baritonali rispettivamente – dominavano la scena lirica con un equilibrio che anticipava l’evoluzione futura. È qui che il cosiddetto baritenore comincia a ritagliarsi un suo spazio, come figura intermedia, potente ma duttile, capace di fraseggi scuri e acuti controllati.

Sarà solo con l’Ottocento, tuttavia, che la voce baritonale prenderà forma autonoma. L’affermarsi del canto “in voce” e il progressivo tramonto dell’uso sistematico del falsettone da parte dei tenori favoriranno l’emergere di una zona intermedia, fertile e ancora da esplorare. In questo nuovo spazio espressivo si colloca la nascita ufficiale del baritono moderno, che trova nel repertorio romantico italiano – e in particolare nell’opera verdiana – la sua consacrazione definitiva.

Con Giorgio Ronconi prima, e poi attraverso i grandi ruoli scritti da Verdi, Donizetti e Bellini, il baritono si emancipa definitivamente da basso e tenore, acquisendo un profilo psicologico, musicale e teatrale tutto suo. Non più semplice comprimario o buffone, ma protagonista di drammi interiori e passioni laceranti, portavoce di quella nuova estetica romantica che sostituisce la meraviglia con la verità dell’animo umano.

La voce baritonale, con la sua gamma che si estende tra profondità corpose e acuti scolpiti, diventa il simbolo di una sintesi musicale e filosofica che incarna perfettamente il pensiero di Mazzini: una musica capace di fondere l’individualità espressiva italiana con il pensiero sociale della tradizione tedesca, orientata verso una missione civile ed etica dell’arte.

Ma oltre la classificazione acustica, oltre la gamma o il colore timbrico, ciò che rende davvero affascinante la storia del baritono è la sua dimensione identitaria. È la voce dell’uomo adulto, dell’uomo pensante, dell’uomo conflittuale. È la voce che la lirica ha scelto per rappresentare l’ambiguità, il tormento, la potenza trattenuta e infine liberata. In essa convivono forza e misura, oscurità e brillantezza, una tensione continua fra opposti che non si risolvono, ma si sublimano nel canto.

Se questa breve immersione nella storia del baritono ti ha incuriosito, scopri il libro "IL BARITONO VERDIANO" di Graziano D'Urso: un'opera che scava nei secoli per riportare alla luce l’identità nascosta di una delle voci più ricche e complesse del panorama lirico. Lo trovi su tutti gli store online e sul sito ufficiale dell’autore: www.grazianodurso.it. Una lettura imprescindibile per cantanti, appassionati e studiosi della voce.

Se ti fossi perso l'articolo precedente vai su BLOG - La risposta del diritto alla responsabilità per la didattica vocale scolastica.

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