di Graziano D'Urso
Nel cuore della formazione artistica e musicale, la figura dell’insegnante di canto riveste un ruolo cruciale, ma spesso trascurato nella sua dimensione più tecnica e scientifica. Il sistema scolastico italiano, dalle scuole secondarie di secondo grado fino ai Conservatori, rivela infatti una serie di criticità e incongruenze normative che mettono in discussione la preparazione effettiva di chi si trova a formare le future generazioni di cantanti.
Nei Licei Musicali, il Canto può essere scelto come strumento principale e, in tal caso, costituisce la materia oggetto della seconda prova d’esame di maturità. La normativa richiede che gli studenti “conoscano i fondamenti della corretta emissione vocale”, ma questa esigenza formativa viene spesso disattesa nella prassi, non per negligenza dei docenti, bensì per lacune strutturali nei criteri di selezione e formazione degli stessi. Infatti, la classe di concorso AO55 ammette docenti con un diploma accademico di secondo livello in qualsiasi disciplina musicale e un diploma triennale specifico in Canto, equiparando di fatto percorsi formativi disomogenei e talvolta insufficienti sotto il profilo tecnico-scientifico.
Il divario tra ciò che è richiesto allo studente e ciò che è effettivamente garantito dalla preparazione del docente si fa ancora più evidente nell’analisi del reclutamento negli Istituti AFAM. Qui il paradosso si acuisce: fino agli anni Novanta era possibile accedere all’insegnamento del Canto nei Conservatori senza neppure essere in possesso di un diploma di Conservatorio. E se anche oggi i requisiti sono cambiati in parte, non si è ancora raggiunto un sistema che premi, in modo coerente, le competenze scientifiche relative all’anatomia, alla fisiologia e all’igiene dell’apparato vocale. La stessa “elementare conoscenza” richiesta nel concorso del 1990 non può ritenersi una base sufficiente per un professionista che ha tra le mani – letteralmente – la voce di un allievo, con tutto il carico di responsabilità che questo comporta.
Ancor più inquietante è il confronto con il mondo della logopedia. Gli stessi esercizi vocali utilizzati dagli insegnanti di canto per la formazione degli allievi sono impiegati dai logopedisti per la riabilitazione vocale. L’oggetto dell’intervento è identico – gli apparati respiratorio, fonatorio e di risonanza – e identiche sono le modalità operative e gli obiettivi fonatori. Eppure, mentre al logopedista si richiede un titolo accademico specifico e l’iscrizione a un albo professionale, all’insegnante di canto non viene richiesto alcun percorso obbligatorio che contempli le stesse competenze tecniche. Si tratta di una lacuna normativa che, oltre a danneggiare la qualità dell’insegnamento, espone l’insegnante a potenziali responsabilità civili in caso di imperizia, come sarà approfondito negli articoli successivi del blog.
Il tema, dunque, non è solo quello della tutela della salute vocale degli studenti, ma anche della dignità e della professionalità dell’insegnante di canto, che dovrebbe essere messo nelle condizioni di agire con piena consapevolezza scientifica oltre che artistica. Una didattica del canto fondata solo sull’esperienza personale o su una trasmissione tradizionale, senza un adeguato supporto teorico, rischia di diventare un boomerang sia per l’allievo sia per il docente.
Chi desidera comprendere a fondo questi temi, con rigore giuridico e chiarezza espositiva, troverà nel libro La responsabilità civile dell’insegnante di canto un punto di riferimento imprescindibile. Un’opera pensata per chi insegna, studia, amministra o semplicemente ama il mondo del canto e vuole contribuire a una sua evoluzione più consapevole, professionale e tutelante.
Se ti fossi perso l'articolo precedente lo troverai su BLOG - La responsabilità giuridica dell'insegnante di canto: una riflessione urgente.
Per acquistare il libri, invece, puoi cliccare al seguente link: La responsabilità civile dell'insegnante di canto - Graziano D'Urso.