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BLOG - La responsabilità giuridica dell'insegnante di canto: una riflessione urgente

di Graziano D'Urso

 

Nel nostro immaginario collettivo l’insegnante di canto viene spesso visto come una figura artistica, appassionata, dedita alla trasmissione di un’arte sublime. Tuttavia, al di là dell’aura romantica che circonda la didattica vocale, si nasconde una realtà giuridica ben più complessa e – per certi versi – trascurata: l’insegnamento del canto è una vera e propria professione intellettuale, con tutte le implicazioni di responsabilità che ne conseguono.

Anche se non esiste un albo professionale dedicato, l’insegnante di canto – secondo l’orientamento prevalente della dottrina giuridica – rientra a pieno titolo nel novero delle professioni intellettuali, secondo quanto previsto dal Codice Civile italiano. Questo significa che egli non solo è tenuto a una diligenza superiore rispetto alla media, ma risponde anche per eventuali danni causati da negligenza, imprudenza o imperizia. Il vincolo non è solo etico o deontologico: si tratta di una responsabilità giuridicamente rilevante, alla cui base deve esserci una perizia assoluta nei mezzi tecnici, una competenza profonda e una consapevolezza piena del proprio operato.

Ciò che colpisce, però, è il grande paradosso: se da un lato si pretende dall’insegnante di canto una professionalità così elevata da farlo rientrare nella disciplina delle professioni intellettuali, dall’altro l’ordinamento formativo italiano – nella sua attuale struttura – non garantisce un percorso realmente adeguato a costruire tale professionalità. Il vacuum formativo è evidente, e non riguarda solo le componenti psico-pedagogiche, che sono state almeno in parte integrate con l’introduzione dei 24 CFA prima e dei 60 CFA dopo obbligatori, ma anche (e forse soprattutto) la perizia tecnica, anatomofisiologica e vocologica che ogni docente di canto dovrebbe padroneggiare.

Nel passato esistevano percorsi dedicati alla formazione di "professori di canto", distinti dai semplici performer. Oggi, invece, l’intera architettura dell’insegnamento accademico tende a formare esecutori più che didatti, con la conseguenza che la vocazione pedagogica viene appresa in maniera frammentaria e spesso autodidatta. Il risultato è che molti insegnanti si ritrovano ad affrontare un incarico carico di responsabilità, senza possedere gli strumenti completi per gestirlo secondo gli standard richiesti.

La discrezionalità, che pure è riconosciuta al professionista intellettuale, non può e non deve essere un alibi. È un potere, non un privilegio: va esercitato con rigore, consapevolezza e preparazione. Perché ogni decisione presa in aula, ogni scelta didattica, ogni esercizio assegnato può avere effetti – talvolta irreversibili – sul benessere fisico e psichico dell’allievo. E quando il danno è provocato da imperizia o imprudenza, l’insegnante risponde, anche sul piano civile.

Questo quadro impone una riflessione profonda sullo stato della formazione dei docenti di canto in Italia. È davvero sufficiente l’attuale modello 3+2? Sono davvero adeguati i pochi CFA dedicati alla didattica e alla pedagogia rispetto alla complessità della disciplina? E soprattutto: il sistema è in grado di garantire quella “padronanza assoluta dei mezzi tecnici” che la legge implicitamente pretende?

Se vuoi approfondire il tema della responsabilità civile dell’insegnante di canto, comprendere appieno i riferimenti normativi, le implicazioni professionali e le criticità strutturali del sistema formativo, ti invito a leggere il libro "La responsabilità civile dell’insegnante di canto". Un’opera unica nel panorama editoriale italiano, che intreccia diritto, didattica e vocologia con rigore e chiarezza, offrendo agli insegnanti uno strumento indispensabile per esercitare la propria professione con consapevolezza e tutela. Disponibile cliccando sul seguente link: La responsabilità civile dell'insegnante di canto - Graziano D'Urso.

Se ti fossi perso l'articolo precedente vai su BLOG - I tre volti dell’insegnante di canto: artista, analista, guida.


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