di Graziano D'Urso
Mia madre mi chiedeva - col passar dei mesi - a cosa servisse esercitarmi a casa su arie d’opera, mentre io le spiegavo che quelle vocalizzazioni erano utili per il mio lavoro con Claudio. Non volle approfondire oltre, e restò con una perplessa espressione di dubbio come unica reazione. Ma dentro di me sapevo che quel canto impostato stava diventando il filo conduttore di una nuova identità, pur ancora nascosta.
Il mio maestro mi segnalò, sul finire di settembre 2015, una audizione per il reclutamento di coristi lirici da mandare in Cina, Superai quell'audizione e, l'indomani, destatomi con mia madre intenta a riordinare l’armadio, le confessai per la prima volta che ero stato ammesso a un coro lirico e che in due settimane sarei partito per la Cina. Le chiesi di dirmi che sarebbe andato tutto bene, e seppi che lei stava iniziando, a poco a poco, a riconoscere in quella scelta lo sbocco reale di anni di studio segreto. In quegli stessi anni, ricordo che a scuola avevo sviluppato il desiderio di calcare i palcoscenici del mondo, sogno che iniziava a compiersi; l’eco di quel tema scavai dentro di me un senso di compimento quando salii sul palco del teatro di Macao come corista di Faust di Gounod.
Lì, tra le luci abbaglianti delle vie che sembravano illuminate di giorno, tra casinò stile Las Vegas orientale e l’eleganza architettonica portoghese, scoprii il canto come strumento professionale. Il debutto in scena, le prove di costume e regia, il suono dell’orchestra in buca: fu tutto un condensato di meraviglia e di senso teatrale che mi fece capire in cosa consistesse davvero il mestiere del cantante d’opera. Da Macao si aprì la porta a nuove tournées: Svizzera, con nove recite di Rigoletto e due concerti a Baden nell’estate 2016, poi lo storico Teatro Antico di Taormina con Cavalleria Rusticana, fino alla tournée in Cina dell’inverno 2016‑2017, in città gelide come Tianjin e Harbin.
Nel frattempo, i test d’ingresso all’Istituto “Vincenzo Bellini” di Catania – sostenuti per due anni di fila – mi videro arrivare primo in graduatoria sia in teoria e solfeggio che in canto. Anche se nel 2015 non c’erano posti disponibili, persi un anno; ma ciò che contava fu la mia tenacia. Nel secondo tentativo portai un’aria verdiana, “Eri tu che macchiavi quell’anima” da Un ballo in maschera, e fu per me un momento di svolta, di consapevolezza vocale e interpretativa.
Lì maturò però anche una tensione interna: il coro mi vedeva come tenore, pur io coltivando la convinzione, e il parere del mio maestro, che fossi un baritono. Resomi conto della confusione, presi disponibilità dal mio presidente del coro e consultai il foniatra specialista, il Dottor Giuseppe Pennisi, che confermò scientificamente che la frequenza media, i formanti, l’estensione vocale erano coerenti con il registro baritonale, e che proseguire come tenore avrebbe potuto mettere a rischio la mia salute vocale. Eppure, per doveri contrattuali, cantai come tenore secondo per intere opere: Le Nozze di Figaro, Turandot e I Pagliacci. Questo contrasto tra scienza, repertorio e percezione altrui fu una lezione cruciale.
Dopo quello slalom tra ruoli e repertori, finalmente entrai in conservatorio, ottenendo il diploma con 110 e lode nel 2019 con una tesi su Un ballo in maschera. Contemporaneamente ripresi la politica, arrivando a far parte ufficialmente del Consiglio di Amministrazione dell’Istituto, proseguendo nell’impegno civico. In questi anni studiai pianoforte, arte scenica, repertorio, liederistica e canto, mentre gradualmente la mia carriera virava verso il palcoscenico solistico e tra estate 2017 e fine anno terminai collaborazioni significative come il duo “Claudio & Graziano” e l’Orchestra Galatea, nonché l’ultimo impegno corale. Consapevole della stratificazione delle sei categorie di baritono, compresi di essere un baritono lirico‑spinto, tonalità verdiana che ha infine dato forma alla mia vocazione artistica.
Questa tappa del mio percorso mostra come il successo visibile sia solo la punta di un iceberg costruito con dedizione, pazienza e consapevolezza. Il canto non è soltanto talento, ma anche attitudine studiata, sicurezza vocale raggiunta con rigore e anche scienza. È fondamentale ascoltare gli esperti, comprendere il proprio strumento attraverso dati oggettivi e non inseguire ruoli che la voce non può sostenere. Chi studia canto lirico deve cogliere che la via dell’artista è prima di tutto vocazione matura, equilibrio tra intuito e conoscenza tecnica, e il coraggio di adattarsi, anche cambiando rotta se necessario, per tutelare la propria longevità artistica.
Questo articolo è tratto da "Memorie di un cantante. Approccio all'opera lirica". Se vuoi conoscere altri aneddoti e trarre altri insegnamenti da questo percorso musicale e professionale scopri il libro sui principali store online e sul sito dell'editore Lulu Inc.
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